lunedì, ottobre 31
Marianne Moore Che cosa sono gli anni
Che cos'è la nostra innocenza,
che cosa la nostra colpa? Tutti
sono nudi, nessuno è salvo. E donde
viene il coraggio: la domanda senza risposta,
l'intrepido dubbio, -
che chiama senza voce, ascolta senza udire -
che nell'avversità, perfino nella morte,
ad altri dà coraggio
e nella sua sconfitta sprona
l'anima a farsi forte? Vede
profondo ed è contento chi
accede alla mortalità
e nella sua prigionia ti leva
sopra se stesso, come
fa il mare dentro una voragine,
che combatte per essere libero
e benché respinto
trova nella sua resa
la sua sopravvivenza.
Così colui che sente fortemente
si comporta. L'uccello stesso,
che è cresciuto cantando, tempra
la sua forma e la innalza. È prigioniero,
ma il suo cantare vigoroso dice:
misera cosa è la soddisfazione,
e come pura e nobile è la gioia.
Questo è mortalità,
questo è eternità.
domenica, ottobre 30
sabato, ottobre 29
giovedì, ottobre 27
Quest'amore
Mio vecchio amore
amore che chiamo buona amicizia
amore di parola in fuga nel telefono
di sguardi abbassati
di formidabili pudori
amore dove esperienza significa paura
dove si sfiora l’abisso nel sorriso
amore totale racchiuso in educazione
che sfibra e non si comunica
che si lascia fluttuare
leggero come l’età
quando si fa di prime rughe pacifica
amore che sa ancora tremare
per chi guardando lo coglie
e ruba
nel discreto momento di un guardare
amore fatto di mare
che stenti a crederci, so
tutto il dolore di questo crescere
tutto il peso di questo dovere
così anche io come te
lascio che i giorni ci crollino addosso
continuando a cercarti solo per parlare.
amore che chiamo buona amicizia
amore di parola in fuga nel telefono
di sguardi abbassati
di formidabili pudori
amore dove esperienza significa paura
dove si sfiora l’abisso nel sorriso
amore totale racchiuso in educazione
che sfibra e non si comunica
che si lascia fluttuare
leggero come l’età
quando si fa di prime rughe pacifica
amore che sa ancora tremare
per chi guardando lo coglie
e ruba
nel discreto momento di un guardare
amore fatto di mare
che stenti a crederci, so
tutto il dolore di questo crescere
tutto il peso di questo dovere
così anche io come te
lascio che i giorni ci crollino addosso
continuando a cercarti solo per parlare.
Sospesa
Sospesa
mi tieni stretta
vortici lenti
l’emozione
scivola dentro ogni mia forma
Forma informe
di un corpo che vive ancora .
profonda presenza
l’assenza che m’avvolge
Finito,
il tuo infinito
l’anima tocca
trasforma i corpi
nel suo silenzio pieno.
Il viso tra le mani ......... Tich Nhat Hanh
Mi tengo il viso fra le mani;
no, non sto piangendo.
Mi tengo il viso tra le mani
per tenere calda la mia solitudine:
mani che proteggono,
mani che nutrono,
mani che impediscono
alla mia anima di vivere
nella rabbia.
Carlo Emilio Gadda
Il mio gran male è stato sempre e sarà sempre uno:
quello di desiderare e sognare,
invece di volere e fare.
Scritto sul corpo - Jeanette Winterson
La Sofferenza è il vuoto. Uno spazio senza aria, un soffocante luogo di morte, la dimora del sofferente. La Sofferenza è un palazzo - alveare, stanze come gabbie d’allevamento, ci si siede sui propri escrementi, ci si sdraia sulla propria sporcizia. La Sofferenza è una strada dove non è possibile invertire il senso di marcia, dove non ci si può fermare. La si percorre spinti da quelli che stanno dietro, intralciati da quelli che stanno avanti. La si percorre a una velocità folle anche se i giorni sono mummificati, di piombo. Succede tutto così rapidamente, una volta che si è preso il via, non esiste alcuna àncora del mondo reale che ci faccia rallentare, niente a cui aggrapparsi. La Sofferenza strappa i freni della vita, d’improvviso si è abbandonati in caduta libera. Quale che sia il nostro interno personale, ne troveremo altri mille uguali a quello, nella Sofferenza. E’ la città dove gli incubi di tutti diventano realtà. […] Non ci sono orologi nella Sofferenza, solo un ticchettio incessante.
domenica, ottobre 16
SURVIVOR di Chuck Palahniuk
Tender Branson, ultimo membro sopravvissuto di una setta narra la storia della sua vita alla scatola nera dell'aereo 2039 che sta precipitando al largo dell'Australia. In un crescendo delirante Tender ci racconta di quando viveva nella comunita' della setta ignaro dell'esistenza di un mondo evoluto, dei suoi lavori di maggiordomo, servitore tuttofare, suggeritore di galateo per nouveaux riches in difficolta', della sua breve ma intensa stagione di istigatore telefonico al suicidio. Le sue vicende conoscono il loro apice quando, in seguito al suicidio di massa degli altri membri della setta, si ritrova ad essere l'unico superstite e - grazie alla cinica assistenza di un agente - assurge al ruolo di messia mediatico, seguitissimo profeta televisivo, autore di un best-seller come il Libro delle Preghiere Semplici Semplici (quali La preghiera per ritardare l'orgasmo, La preghiera per zittire gli allarmi delle automobili, La preghiera per fermare la perdita dei capelli, per trovare parcheggio ecc. ecc.). Per il suo matrimonio viene addirittura allestito un evento televisivo straordinario: verra' trasmesso in diretta durante l'intervallo della finale del Super Bowl. Ma le cose si mettono male quando emergono delle prove che i suicidi della setta sono stati in realtà degli omicidi e si viene a sapere che probabilmente il fratello di Tender, Adam, e' ancora vivo. Tender e' un serial killer? Lo e' suo fratello Adam? Potranno mai condurre ancora una vita normale? Una storia mozzafiato, stralunata, pirotecnica sulla follia della modernita'.
venerdì, ottobre 14
Edith Södergran
Ho intonato un canto.
Venuto non so da dove –
è scivolato come seta sulle mie corde.
Che sia dovuto agli sciolti capelli neri della notte?
O forse ai bianchi tratti sognanti della luna?
E la notte cantava, cantava
della solitudine che cullando a tutto dà pace,
cantava delle sognanti naiadi,
dei ruscelli senza brusio, del segreto della gora…
La notte aveva il fiato sospeso –
una rosa mi si è avvizzita tra le mani –
e tale la quiete come fosse svanito l’ultimo sospiro
del tutto.
mercoledì, ottobre 12
NOBEL ..........Tre donne per la pace
Ellen Johnson Sirleaf, Leymah Roberta Gbowee, Tawakkul Karman:
sono le tre donne che hanno vinto il Premio Nobel per la Pace 2011.
Il presidente della Liberia Ellen Johnson Sirleaf, la prima donna eletta capo di stato in Africa, saprà l’11 ottobre, giorno delle elezioni generali, se i suoi connazionali approvano il modo in cui ha guidato il paese e ha svolto il proprio mandato nei sei anni trascorsi. Nel 2005 Johnson Sirleaf, economista, madre di quattro figli, aveva raccolto la sfida di governare una nazione in macerie, ferita a morte da due terrificanti guerre civili, l’ultima delle quali terminata nel 2003. Il suo successo elettorale era dipeso in misura rilevante dal fatto di essere riuscita a conquistare la fiducia della popolazione, a prescindere dal fattore etnico. Ad assicurarle la vittoria avevano contribuito decine di migliaia di donne che, presentandosi all’uscio di ogni capanna anche in villaggi remoti e isolati, altrimenti inaccessibili a causa delle pessime condizioni della rete stradale e ferroviaria e della mancanza di mezzi di comunicazione, ne avevano illustrato meriti e programma. Da allora è stata soprannominata «lady di ferro» per la fermezza con cui ha svolto il proprio mandato. All’indomani del giuramento da presidente aveva spiegato di essere disposta a formare un esecutivo inclusivo, accettando esponenti dei partiti sconfitti purché dotati di tre requisiti fondamentali: competenza, onestà, rispetto dei diritti umani. Se qualcuno aveva pensato che fossero solo parole, si era dovuto ricredere alcune settimane dopo quando Johnson Sirleaf si era fatta portare al ministero delle finanze dove aveva licenziato in tronco tutto il personale con facoltà degli ex dipendenti di riproporsi per l’assunzione anche il giorno successivo stesso, purché con un curriculum adeguato per competenze e titoli e immacolato, vale a dire senza traccia di episodi anche minimi di corruzione e clientelismo. Non era che l’inizio di una serie di indagini sullo stato e la conduzione di tutte le agenzie governative e le compagnie pubbliche.
Leymah Roberta Gbowee, madre di sei figli, anche lei cittadina liberiana, ha contribuito nel 2005 al successo elettorale di Ellen Johnson Sirleaf così come prima aveva ha contribuito alla fine della guerra civile guidando il Women of Liberia Mass Action for Peace, un movimento nato raccogliendo in preghiera, per la pace, donne cristiane e islamiche in un mercato del pesce della capitale liberiana, Monrovia. Vestite di magliette bianche durante le loro manifestazioni, le donne del movimento, rapidamente cresciuto fino a contare migliaia di componenti, sono diventate in breve una influente forza politica capace di ottenere che si avviassero i primi colloqui di pace, dopo anni di conflitto civile. In un loro appello all’allora presidente liberiano Charles Taylor si legge: noi donne «siamo sempre state in silenzio in passato, ma adesso, dopo essere state uccise, violentate, disumanizzate e infettate da malattie, assistendo alla distruzione dei nostri figli e delle nostre famiglie, la guerra ci ha insegnato che il futuro dipende dal dire ‘no’ alla violenza e ‘si’ alla pace. Non ci fermeremo finché la pace non trionferà».
La terza donna insignita del Nobel per la Pace è Tawakkul Karman, yemenita, tre figli, presidente del movimento Women Journalists Without Chains da lei fondato nel 2005 per promuovere i diritti umani e in particolare la libertà di opinione e di espressione. Ha organizzato manifestazioni di protesta ogni martedì, a partire dal 2007, ed tra i leader della rivolta tuttora in atto, duramente repressa, contro il regime del presidente Ali Abdullah Saleh. Sull’esempio delle proteste in Tunisia ed Egitto, ha organizzato il «giorno della collera» del 3 febbraio scorso. Molto ha fatto per mobilitare gli studenti della capitale Sanah. Tawakkul Karman combatte contro gli abusi e la corruzione del proprio governo, ma mostra altrettanta determinazione a difendere il proprio paese dalla minaccia della violenza integralista: «l’azione politica non violenta dei giovani è la sola arma contro il terrorismo. Noi rifiutiamo i movimenti estremisti, i gruppi come al Qaeda perché non hanno altro obiettivo che il sangue. Se la nostra rivoluzione avrà successo, tutto il mondo allora sarà più sicuro».
lunedì, ottobre 10
domenica, ottobre 9
Pedro Salinas ---------- Al di là di te ti cerco
Chagall |
Si, al di là della gente
ti cerco.
Non nel tuo nome, se lo dicono,
non nella tua immagine, se la dipingono.
Al di là, più in là, più oltre.
Al di là di te ti cerco
Non nel tuo specchio e nella tua scrittura,
nella tua anima nemmeno.
Di là, più oltre.
Al di là, ancora, più oltre
di me ti cerco. Non sei
ciò che io sento di te
Non sei
ciò che mi sta palpitando
con sangue mio nelle vene,
e non è me.
Al di là, più oltre ti cerco.
E per trovarti, cessare di vivere in te, e in me,
e negli altri.
Vivere ormai al di là di tutto,
sull'altra sponda di tutto...
...per trovarti...
ti cerco.
Non nel tuo nome, se lo dicono,
non nella tua immagine, se la dipingono.
Al di là, più in là, più oltre.
Al di là di te ti cerco
Non nel tuo specchio e nella tua scrittura,
nella tua anima nemmeno.
Di là, più oltre.
Al di là, ancora, più oltre
di me ti cerco. Non sei
ciò che io sento di te
Non sei
ciò che mi sta palpitando
con sangue mio nelle vene,
e non è me.
Al di là, più oltre ti cerco.
E per trovarti, cessare di vivere in te, e in me,
e negli altri.
Vivere ormai al di là di tutto,
sull'altra sponda di tutto...
...per trovarti...
George Byron, V3l3no e il colosseo
ingrandisci |
Scintillano le stelle in ogni seno
Del firmamento e s’alza al bianco giogo
Di quel monte la Luna. Oh, com’è bello
Quanto vegg’io! Produr colla natura
Amo il mio conversar, perché l’aspetto
Dell’uomo è più straniero alla mia vista
Che il volto oscuro della notte. Appreso
Nella muta beltà della stellata
Ombra, di cui si veste, ho l’idioma
D’un altro mondo... Allor che ne’ miei freschi
Anni pellegrinava, in una notte
Simile a questa, mi trovai nel circo
Del Colosseo, mirabile reliquia
Del romano poter. Le folte piante,
Lungo quei minati archi cresciute,
Piegavano, ondulando i foschi rami
Sul cupo azzurro della notte, e gli astri
Splendevano ad or ad or per li ampi fori
Di quei ruderi illustri. Udia dal monco
Lato del Tebro l’abbaiar dei cani;
Ed a me più vicino il prolungato
Gemito delle strigi abitatrici
Del cesareo Palagio; ed un leggiero
Venticel mi recava ad intervalli
La uniforme canzon delle lontane
Scolte. Qualche funereo cipresso
Traverso le ruine, opera di molti
Secoli s’elevava, ed i confini
Parca segnar dell’orizzonte, e forse
Era da me discosto un trar di pietra
Ove la reggia imperiai sorgea,
Or vagola l’augel dal mesto grido.
E fra gli alberi, in cima alle scrollate
Mura sorgenti e coll’ime radici
Contorti, avviticchiati al sacro lare
Dei Cesari, la vile edera usurpa
Il seggio dell’allòr; pure il cruento
Circo dei gladiatori, maestosa
Ruina, a tutte di grandezza impari
Sta visibile ancor, mentre le auguste
Sedi, riverse e nel terren confitte,
Sono ignote macerie. E tu, vagante
Luna, inviavi il tuo pallido raggio
Sulle moli abbattute! amabll luce
Che gli austeri colori e la durezza
Ne tempravi, addolcivi, empiendo il vuoto
Che i secoli v’aprirò, e col diffuso
Virgineo candor non ne scemavi
La beltà pur d’un’ombra, e, meglio, quanto
Bello non era v’abbellivi. Un sacro
Raccoglimento mi facea signore
Di me, della mia mente, e ai grandi antichi,
Adorando, io pensava; a quei potenti
Che, sebben polve ed ossa, ancor deposto
Non han lo scettro, e dal sepolcro ancora
Imperano allo spirto. Era una notte
Similissima a questa, e strano è certo
Che riviver mi debba in tal momento.
Però, ben lo provai, quando il pensiero
Di raccórsi ha più d’uopo, in tempi andati
Si divaga e si perde.
Nâzim Hikmet
Klimt |
Mi abituo a invecchiare, al mestiere più difficile
del mondo,
a bussare per l’ultima volta alle porte,
alla separazione eterna.
Scorrete, ore, scorrete inesorabili.
Cerco di capire anche a costo di perdere la fiducia.
Ti avrei detto una cosa, ma non ho potuto farlo.
Nel mio mondo il gusto di una sigaretta fumata
di mattina a stomaco vuoto.
La morte mi ha mandato la sua solitudine ancora
prima del suo arrivo.
Invidio chi non si accorge nemmeno di invecchiare
talmente è indaffarato.
del mondo,
a bussare per l’ultima volta alle porte,
alla separazione eterna.
Scorrete, ore, scorrete inesorabili.
Cerco di capire anche a costo di perdere la fiducia.
Ti avrei detto una cosa, ma non ho potuto farlo.
Nel mio mondo il gusto di una sigaretta fumata
di mattina a stomaco vuoto.
La morte mi ha mandato la sua solitudine ancora
prima del suo arrivo.
Invidio chi non si accorge nemmeno di invecchiare
talmente è indaffarato.
Eugenio Montale - da Xenia II
La morte non ti riguardava.
Anche i tuoi cani erano morti, anche
il medico dei pazzi detto lo zio demente,
anche tua madre e la sua ‘specialità’
di riso e rane, trionfo meneghino;
e anche tuo padre che da una minieffigie
mi sorveglia dal muro sera e mattina.
Malgrado ciò la morte non ti riguardava.
Ai funerali dovevo andare io,
nascosto in un tassì restandone lontano
per evitare lacrime e fastidi. E neppure
t’importava la vita e le sue fiere
di vanità e ingordigie e tanto meno le
cancrene universali che trasformano
gli uomini in lupi.
Una tabula rasa; se non fosse
che un punto c’era, per me incomprensibile,
e questo punto ti riguardava.
Anche i tuoi cani erano morti, anche
il medico dei pazzi detto lo zio demente,
anche tua madre e la sua ‘specialità’
di riso e rane, trionfo meneghino;
e anche tuo padre che da una minieffigie
mi sorveglia dal muro sera e mattina.
Malgrado ciò la morte non ti riguardava.
Ai funerali dovevo andare io,
nascosto in un tassì restandone lontano
per evitare lacrime e fastidi. E neppure
t’importava la vita e le sue fiere
di vanità e ingordigie e tanto meno le
cancrene universali che trasformano
gli uomini in lupi.
Una tabula rasa; se non fosse
che un punto c’era, per me incomprensibile,
e questo punto ti riguardava.
Iscriviti a:
Post (Atom)