A proposito di tempo che passa (molto presente nelle poesie), della vecchiaia che coglierà (speriamo) tutti e dell'ignoto futuro che ci aspetta.
Quella di Vera mi sembra una bella interpretazione.
LA MIA BARCA E' SIMILE...
La mia barca è simile
a culla e bara.
Galleggio a valle
aiutando appena la corrente
coi remi. Lo so:
presto la vecchiaia
prenderà possesso del timone,
alzerà la vela bianca
FINGO D'ESSER UBRIACA...
Fingo d’esser ubriaca
Per esser tenera
Fingo d’esser stupida
Per dire "T’amo"
Fingo d’esser vecchia
Per non dover fingere
Fingo d’esser morta
Fingendo di dormire
Esordisce nel 1988 sulla rivista letteraria “Junost’”, ma a suscitare clamore è la pubblicazione nel 1996 di 72 sue poesie sul quotidiano “Segodnja”: subito la personalità della poetessa è circondata da un’aura quasi misteriosa, suscitando reazioni vivaci e contrastanti tra il pubblico e la critica.Viisto che la poesia femminile russa del ’900 ha due punti di riferimento fissi: Anna Achmatova e Marina Cvetaeva, ogni nuova poetessa entra giocoforza nel loro campo d’attrazione.Quasi tutti i critici associano la poetica di Vera Pavlova a quella di Marina Cvetaeva, così il rapporto con Anna Achmatova sembra più complesso o conflittuale, ma è percepibile attraverso le citazioni, le allusioni, le intonazioni. Ma l’elenco dei maestri di Vera Pavlova può essere allargato a Blok, Brodskij, Pasternak, Mandel’sˇtam, Sˇkapskaja, e naturalmente, a Pusˇkin.
Nel 2000 una giuria composta da quaranta dei più noti critici letterari russi scelse come miglior libro dell’anno Il quarto sogno di Vera Pavlova, assegnando all’autrice il prestigioso “Premio Apollon Grigor’ev” dell’Accademia Russa di Letteratura, “per la spiccata personalità, l’ampiezza del registro poetico e l’intensa carica vitale del suo verso”.
Oggi Vera Pavlova ha al suo attivo sette raccolte di liriche, senza considerare numerose pubblicazioni su importanti riviste letterarie.
NON VOGLIO UN MATTONE DAL TETTO
Non voglio un mattone dal tetto –
voglio morire lentamente.
Voglio morire, osservando
il corpo che secerne, goccia
dopo goccia, l’esausta vita.
Filtrarla attraverso me stessa,
come attraverso un settaccio fine fine,
e – dopo – sospirare sollevata
per non aver visto nulla sul fondo
Non voglio un mattone dal tetto –
voglio morire lentamente.
Voglio morire, osservando
il corpo che secerne, goccia
dopo goccia, l’esausta vita.
Filtrarla attraverso me stessa,
come attraverso un settaccio fine fine,
e – dopo – sospirare sollevata
per non aver visto nulla sul fondo
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