martedì, settembre 18

AHMAD SHAMLOU ---- IO NON SONO UNA STORIA CHE PUOI RACCONTARE


Io non sono una storia che puoi raccontare,
non sono una canzone che puoi cantare,
non sono un suono che puoi udire,
non sono neppure questo che puoi vedere
né quello che puoi conoscere.
Io sono una sofferenza che anche tu puoi provare,
chiamami con un grido.
Gli alberi parlano con il bosco, l’erba con la terra,
le stelle con le galassie. E io parlo con te.
Dimmi il tuo nome, dammi le tue mani,
dimmi le tue parole, dammi il tuo cuore.
Io ho scoperto le tue radici.
Attraverso le tue labbra ho parlato al Tutto,
le tue mani sono sorelle delle mie.
In una luminosa solitudine ho gridato con te
per quelli che sono vivi.
In un oscuro cimitero ho cantato con te
la più bella canzone perché quelli morti quest’anno
erano le persone che amavano di più i vivi.
Dammi le tue mani. Le tue mani mi sono familiari.
Oh tu, che ho scoperto molto tardi.
Io parlo con te come le nuvole parlano con la tempesta,
come l’erba parla con la terra,
come la pioggia parla al mare,
come gli uccelli parlano alla primavera,
come gli alberi parlano al bosco.
Perché ho scoperto le tue radici,
perché la mia voce è sorella della tua.

venerdì, settembre 7

Farfalla



I
Dirò: sei morta?
con una vita di ventiquattr'ore!
Troppa amarezza
in questo scherzo del creatore.
Riesco con sforzo
a pronunciare "vita"
nell'unità di data
di nascita e di consunzione
fra le mie dita:
mi confonde obbligare
una di queste grandezze
nello spazio di un giorno.

II
Perché i giorni per noi
sono nulla. Un vuoto
zero, nulla. Non puoi
appuntarteli al muro e agli occhi
renderli commestibili:
sul bianco sfondo
non possedendo corpo
sono invisibili.
Come te sono i giorni,
e quale peso poi
rimpicciolito dieci volte
può avere un giorno?

III
Dirò: tu non esisti?
Ma cosa mai allora
di simile in te sente
la mia mano? e quei colori
d'inesistenza non son frutto.
E chi ha suggerito
quelle tue tinte?
Io non avrei la forza,
io, grumo borbottante
di parole al colore estranee,
di immaginare questa
tua tavolozza.

IV
Sulle tue ali piccole
pupille e ciglia
- o belle donne e uccelli -
o ritratto volante,
dimmi, di quali volti
questi sono frammenti?
E la tua nature morte
di quali particelle,
di quali briciole è fatta:
di cose, frutti?
o magari di pesci
un disteso trofeo?

V
Forse tu sei paesaggio;
attraverso una lente
scopro un gruppo di ninfe
e una danza e una spiaggia.
E fa chiaro laggiù come qui?
oppure è cupo come
di notte? e quale astro
percorre, di',
quella volta celeste?
Quali figure
in quel paesaggio? e, dimmi, è copia
di quale vero?

VI
Penso che tu
sia questo e quello:
di volto, oggetto, stella
tu rechi i tratti.
Quell’orafo chi fu
che cesellò di fino
senza aggrottare i sopraccigli
sulle ali quel mondo
che ci stringe, che impazzire ci fa,
quel mondo dove tu
sei l'idea della cosa
e noi la cosa stessa?

VII
Dimmi, perché quel vago
ricamo ti fu dato in dono
soltanto per un giorno
nel paese dei laghi,
le cui specchianti superfici
conservano lo spazio? A te invece
questa breve esistenza
riduce la speranza
di finir dentro una retina
di tremolare in mano, di sedurre
al momento della cattura
l'occhio del cacciatore.

VIII
Non mi risponderai,
e non per timidezza
o per ostilità
nei miei confronti
e non perché sei morta.
Viva, morta... ma
a tutte le creature del Signore
in segno di affinità
per conversare, per cantare
la voce è data in dono:
per prolungare l'attimo,
ed il minuto, il giorno.

IX
E invece tu,
tu non hai questo pegno.
A rigore però
così è meglio:
meglio che con i cieli
essere in debito.
Non affliggerti, se
la tua vita, il tuo peso
son privi di parola:
è un fardello anche il suono.
Sei più incarnale
del tempo tu, più muta.

X
Tu non arrivi a vivere
fino a provare la paura.
Più lieve della polvere
vortichi su un'aiuola,
fuori dalla prigione
dove il passato e l'avvenire
ci chiudono e ci soffocano,
e per questa ragione
quando, in cerca di cibo, intorno
vai volando sul prato
anche l'aria d'un tratto
prende una forma.

XI
Così la penna va
sopra la carta liscia
di un quaderno, e non sa
come finisce
ogni sua riga,
dove si mescolano
saggezza ed idiozia
ma si fida dei moti della mano,
nelle cui dita batte la parola
del tutto muta,
senza togliere polline dai fiori,
ma facendo più lieve il cuore.

XII
Tanta bellezza
per così breve tempo,
spinge a una congettura
che fa storcer la bocca:
dire con più chiarezza
che il mondo per davvero
creato è senza scopo, o invece,
se scopo esiste mai,
non siamo noi.
Entomologo-amico, per la luce
non ci sono spilli
né per il buio.

XIII
Ti dirò "Addio"?
e addio al giorno che si compie?
a certi uomini la tigna dell'oblio
il senno corrompe;
ma bada, è tutta
colpa del fatto
che hanno dietro le spalle
non giorni a letto in due
non sonni fondi
o sogni folli,
non il passato, ma nubi
di tue sorelle!

XIV
Sei migliore del Nulla.
O meglio: sei più prossima,
sei più visibile.
Di dentro, ad esso
del tutto simile.
Nel volo tuo
il Nulla acquista carne;
nel quotidiano strepito
ecco perché
uno sguardo tu meriti:
sei la barriera lieve
fra il Nulla e me.

Peter Handke - La donna mancina

La modella (1925) - Lempicka

Lei saliva con altri da una stazione del metro
mangiava con altri a una tavola calda
aspettava con altri in una lavanderia
ma una volta l'ho vista da sola
davanti a un giornale murale


Usciva con altri da un grattacielo d'uffici
si pigiava con altri ad una bancarella
era seduta con altri presso un campo-giochi di sabbia
ma una volta l'ho vista dalla finestra
giocare a scacchi da sola


Era sdraiata con altri su un prato del parco
rideva con altri in un labirinto di specchi
gridava con altri sull'ottovolante
e poi sola la vidi soltanto
camminare nei miei desideri


Ma oggi nella mia casa aperta:
la cornetta era girata dall'altra parte
la matita era a sinistra dell'agenda
a sinistra la tazza del tè 
e il manico pure a sinistra
e vicino la mela sbucciata in senso inverso
(e non finita di sbucciare)
le tende raccolte a sinistra
e la chiave della porta di casa
nella tasca sinistra della mia giacca
Ti sei tradita, o mancina!
O era per lasciarmi un messaggio?


Vederti  in un continente straniero io vorrei
perch'è  finalmente in mezzo agli altri ti vedrei sola
e tu fra mille altri vedresti  me
e finalmente ci verremmo incontro.

Lars Gustafsson


Lars Gustafsson è nato a Västerås il 17 maggio 1936 ed è considerato il più internazionale scrittore svedese contemporaneo. Studioso di matematica e filosofia, poeta, saggista, drammaturgo, romanziere fra i più tradotti all’estero, e in questa sua intensa attività (oltre cento i libri pubblicati: poesie, saggi di critica letteraria, romanzi che sono stati tradotti in quindici lingue) ha ottenuto molti riconoscimenti. Nel 1996, quando ottenne il Pilot Prize (istituito per premiare con 150.000 corone svedesi chi si distingueva nella letteratura), fu descritto come filosofo, poeta, visionario.
Diplomato nel 1960 all'Università di Upsala dove ha studiato sociologia e filosofia, ha conseguito il dottorato nel 1978. E' stato sposato tre volte ed avuto quattro figli dalle prime due mogli .
I romanzi che gli hanno dato la notorietà a livello internazionale, è stato il ciclo Crepe nel muro di cui fanno parte cinque libri: Lo stesso signor Gustafsson (1971), La lana (1973), Festa in famiglia (1975), Sigismondo (1976) e Morte di un apicultore (1978), tutti caratterizzati da da domande esistenziali mischiate all'assurdo ad al comico. Ha insegnato Storia del Pensiero Europeo all'Università di Austin, Texas, dal 1983, anno successivo alla separazione con la prima moglie, e fino al 2006, anno successivo al suo terzo matrimonio e del pensionamento, a seguito del quale si è ritirato a Södermalm, quartiere di Stoccolma. Nel 1986 è stato fatto cavaliere dell'Ordre des Arts et des Lettres.

LARS GUSTAFSSON - LETTERA A UN GIOVANE POETA




La prima riga solitaria.
Il primo verso solitario sulla carta.

Recano sempre una promessa.
La più grande.
E i colori ritornano, uno dopo l'altro,
come in un'alba nel mese di giugno,

e prendono i loro posti senza indugio o dubbio.
Le cose sono così abili:

insieme ricordano i loro colori
dopo tutta la lunga notte.

Ed ecco un grido. Un chiurlo maggiore,
e là una cicogna.

Suoni di uccelli, suoni di acque.

Abitano in questa primissima cosa
ma troppo lontano per sapere.

Presso di loro l'attimo luminoso.

Il resto per lo più fastidio. 
Conferenze
dove tutti all'unisono testimoniano 
su quanto tutti siano unici.

Impara a tenere i tuoi occhi lontani
dal telegrafo della Borsa. 
Ah queste strisce
buone soltanto da incollare sugli occhi delle mummie!

Quando il tempo cambia pelle 
(Perchè il tempo è un serpente!)
i grandi poeti si rattrappiscono in foglie brune

trasportate da qualche fiume notturno verso la prossima curva.

E al di là di quella c'è una potente cascata.

Ah, penna stanca, mano stanca, torna indietro adesso
alla prima luce, alla voce degli uccelli sull'acqua,

indietro quell'attimo prima!

LARS GUSTAFSSON - VITA








La vita scorre attraverso il mio tempo,
e io, un volto non rasato,
dove le rughe sono profonde, analizzo
le tracce.

Pensieri come bestiame,
avanzano sulla strada per bere,
estati perdute ritornano, ad una ad una,

profonda come il cielo viene la malinconia,
per la pianta di carice che fu,
e le nuvole che allora rotolavano più bianche,

eppure so che tutto è uguale,
che tutto è come allora e irraggiungibile;
perché sono al mondo,

e perché mi prende la malinconia?
E gli stessi lillà profumano come allora.
Credimi: c’è un’immutabile felicità.

giovedì, settembre 6

Il tempo che fù


Napoli  Anno: 1960
- Eur  Anno: 1960
Via delle Carrozze  Anno: 1962
 Roma   Anno: 1965
Parigi  Anno: 1963
 Londra - Piccadilly   Anno: 1968
Londra  Anno: 1967
Londra - Oxford Street   Anno: 1962






 New York City   Anno: 1965   Fotografo: Bill Eppridge


                                                                           Catania Anno: 1963

New Orleans Anno: 1962 Fotografo: Jim Bourdier

lunedì, settembre 3

Quelle come me






Quelle come me regalano sogni, anche a costo di rimanerne prive.
Quelle come me donano l’Anima, perché un’anima da sola è come una goccia d’acqua nel deserto.
Quelle come me tendono la mano ed aiutano a rialzarsi, pur correndo il rischio
di cadere a loro volta.
Quelle come me guardano avanti, anche se il cuore rimane sempre qualche passo indietro.
Quelle come me cercano un senso all’esistere e, quando lo trovano, tentano d’insegnarlo a chi sta solo sopravvivendo.
Quelle come me quando amano, amano per sempre. e quando smettono d’amare è solo perché piccoli frammenti di essere giacciono inermi nelle mani della vita.
Quelle come me inseguono un sogno quello di essere amate per ciò che sono e non per ciò che si vorrebbe fossero.
Quelle come me girano il mondo alla ricerca di quei valori che, ormai, sono caduti nel dimenticatoio dell’anima.
Quelle come me vorrebbero cambiare, ma il farlo comporterebbe nascere di nuovo.
Quelle come me urlano in silenzio, perché la loro voce non si confonda con le lacrime.
Quelle come me sono quelle cui tu riesci sempre a spezzare il cuore, perché sai che ti lasceranno andare, senza chiederti nulla.
Quelle come me amano troppo, pur sapendo che, in cambio, non riceveranno altro che briciole.
Quelle come me si cibano di quel poco e su di esso, purtroppo, fondano la loro esistenza.
Quelle come me passano inosservate, ma sono le uniche che ti ameranno davvero.
Quelle come me sono quelle che, nell’autunno della tua vita, rimpiangerai per tutto ciò che avrebbero potuto darti e che tu non hai voluto.

Alda Merini