martedì, settembre 13

Forùgh Farrokhzàd


Forùgh Farrokhzàd
E’ nata a Teheran nel 1935. Sposata a diciassette anni, si trasferisce col marito, ad Ahvaz, nel sud dell’Iran. Comincia a scrivere molto presto: è del 1955 Asìr, "Prigioniera". Dopo la nascita di Kamiàr, il bimbo sempre presente nelle sue poesie, divorzia e torna a Teheran, ma non le sarà concesso di rivedere suo figlio. Incontra in questo periodo Nadèr Naderpùr ed ha con lui una breve relazione, importante, per ambedue, dal punto di vista poetico. E’ il periodo della rivolta: la volontà libertaria, gli atteggiamenti provocatori. Gli amori tumultuosi la lasciano amara e
tormentata, l’ambiente culturale delusa. Dopo la pubblicazione di Divàr, "Muro", inizia una fase più serena della sua vita: viaggia in Germania e in Italia, a Roma scrive le sue poesie più forti e più audaci, come "Canto di bellezza", e "Rivolta di dio".Del 1958 è Ossiàn, "Rivolta", che, come i due primi volumi, suscita polemiche ed entusiasmi.
Al tempo dello Sciàh Pahlavì, se non c’era libertà politica, era tollerata una relativa libertà sessuale, almeno nel mondo dell’alta borghesia cittadina, e, già prima del ’68, non erano uccelli rari, specialmente tra le artiste, le belle donne, almeno apparentemente, senza inibizioni, ma Forùgh faceva della libertà un manifesto provocatorio, con una decisa volontà di rottura; basta rileggere i titoli dei suoi libri: "Prigioniera", "Muro", "Rivolta".
E’ del ’58 l’incontro con Ebrahìm Golestàn, noto scrittore e cineasta engagé. Inizia una tempestosa relazione che durerà fino alla morte di Forùgh.
Dopo un soggiorno di studi in Inghilterra, la poetessa diventa cineasta e realizza alcuni importanti documentari, con i suoi bellissimi testi poetici: Atèsh "Fuoco", è sull’incendio di un pozzo di petrolio; la lotta disperata dell’uomo contro le forze ribelli della natura si svolge sullo sfondo di villaggi sperduti nel deserto. Il film: Khanèh siàh ast, "La casa è nera", sul lebbrosario di Tabriz. Forùgh che mai ha dimenticato il suo Kamiàr, adotta un bambino figlio di lebbrosi.
Sempre più matura si fa la sua arte: ai temi della personale rivolta, alle appassionate poesie d’amore, si alternano temi di chiaro significato politico, con toni discorsivi, o biblici, sarcastici o profetici. Nelle sue poesie è rappresentata la "dolce vita" di Teheran, tra oppio e caviale, tra poeti ufficiali, suoi bersagli preferiti, sbandieramenti, trionfi di plastica e Coca-Cola.
Del ’64 è il suo libro più importante: Tavallod-e-digàr, "Un’altra nascita", Del ’65 è un altro suo film di successo, "Il mattone e lo specchio"; è la storia di un neonato abbandonato in un taxi, che fornisce all’autrice l’occasione per descrivere la Teheran degli anni ’60 nei suoi aspetti più contrastanti.
Nel ’66 partecipa al festival di Pesaro. Incontra Bernardo Bertolucci e altri attori e registi italiani. Un velo di mistero resta ancora sulle vicende italiane della poetessa persiana. Il "Canto di bellezza" è certamente il ricordo di un amore romano.
Il rapporto con Golestàn è sempre più difficile quanto più è appassionato. Una zingara in Italia predice a Forùgh amori e morte violenta. E’ costante in lei il pensiero della fine, forse del suicidio.
Il 14 febbraio 1967 muore in un incidente d’auto, mentre si recava a vedere un film italiano, dopo una drammatica discussione con il suo amante.
Dopo la sua morte, l’intellighenzia persiana, giovani, donne, quelli che l’avevano amata o odiata, cercarono di impadronirsi della sua immagine. Spuntarono veri o presunti Pigmalioni che pretendevano farsi custodi della sua memoria. La sua vita, la sua rivolta, la sua tragica fine trovarono fertile terreno nella mitomania di quel paese che conosce i miraggi, nei deserti e nell’anima.
Prima e dopo la rivoluzione islamica, il suo nome è servito da etichetta, e la sua "Casa nera" è diventato il simbolo dell’Iran "nero", teocratico e integrista.
Più che i notissimi "manifesti" di un femminismo che potrebbe sembrare di maniera, sono più inquietanti i componimenti di Forùgh Farrokhzàd dove di volta in volta, o nello stesso tempo, si esprime sottomissione e rivolta, sessualità e misticismo, speranza e paura, peccato e rimorso. Si scontrano nella sua vita e nella sua opera le più drammatiche contraddizioni del suo tempo e del suo paese.
La poesia di Naderpùr, pur se nata da vicende drammatiche, pubbliche o private, levita nella ricchezza delle immagini, può compiacersi nella musicalità dei suoni, roesce a pacificarsi nella rara perfezione formale, purtroppo intraducibile.
La poesia di Farokhzàd, più spontanea, è più accessibile perché più "terrestre". Aspra, esprime il dramma eterno della donna tra due mondi, tra due epoche, tra coraggio e fragilità, tormento e insoddisfazione, aggressività che nasconde la paura, sempre alla ricerca di "altro", più in fonde, e "oltre".
fonte: Gina Labriola

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