venerdì, ottobre 7

L'indovino cieco Stefano Benni


Per quali prodigi e qual disegno
un albero cresca ramo dopo ramo
prendendosi il cielo, non so
né so perché i miei occhi di bambino
guardino ora dal volto di un vecchio.
Forse so la data della fine del mondo
e il primo palpito dell'inizio.
Ma non so cosa unisce il Padre al Figlio
e il Figlio alla ragazza dei profumi
e quella all'Assassino, al Teschio
e a Raiden il luminoso
e cosa li tiene sospesi sul filo
tra il primo e l'ultimo giorno
della loro vita preziosa.

Quando morirò io posso saperlo:
morirò un giorno come tutti gli altri
ma perché tanta pietà io sento
per la morte di ognuno non so.
Non so perché un bambino a me uguale
dà nome agli alberi del giardino
e ad amici immaginari parla
mentre gli eserciti muovono
e lenzuola avvolgono i morti.
Non lo so, e sanguino.

Io non ho paura della città
né delle sue mille voci
ho imparato tra loro a conoscere
quella che chiama il mio nome.
Io non posso chiudere gli occhi
e le storie vengono a me
come odori dal giardino
o il ramo spinoso che trascina
il fiume da lontano.
Rane, grilli e fumo di ciminiere
rottami d'auto bagnati di luna
gente che riempie le strade
e sola si riaddormenta
cecità che accende i sogni
il cuore indifeso il segreto fiorire.

Io che leggi non cerco
ma l'anima mia ascolto.
Io vedo un uomo che si prepara ad uccidere
e un altro che cerca lavoro
un ragazzo innamorato, una ragazza fiera
un teschio tatuato su un braccio
un burattino di luce su un monitor
e una donna in riva a un mare
così chiaro da sembrare invisibile.

Io vecchio e cieco, vedo
che i destini si muovono
sento che sto sulla terra
come una foglia, volando
e gli universi precipitano
nel mio bicchiere vuoto, che trema.
Corri, corri, piccola mano
che sposti il sipario dei giorni
fino alla scena dove più non vedo
e dove tutti mi vedono.

Amore che hai sulla bocca
un segno amaro di lotta
io vedo vite che la speranza tocca
pulsare, vibrare, rivivere
come fa il pesce
restituito all'acqua.


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