mercoledì, ottobre 12

NOBEL ..........Tre donne per la pace


Ellen Johnson Sirleaf, Leymah Roberta Gbowee, Tawakkul Karman
sono le tre donne che hanno vinto il Premio Nobel per la Pace 2011. 


Il presidente della Liberia Ellen Johnson Sirleaf, la prima donna eletta capo di stato in Africa, saprà l’11 ottobre, giorno delle elezioni generali, se i suoi connazionali approvano il modo in cui ha guidato il paese e ha svolto il proprio mandato nei sei anni trascorsi. Nel 2005 Johnson Sirleaf, economista, madre di quattro figli, aveva raccolto la sfida di governare una nazione in macerie, ferita a morte da due terrificanti guerre civili, l’ultima delle quali terminata nel 2003. Il suo successo elettorale era dipeso in misura rilevante dal fatto di essere riuscita a conquistare la fiducia della popolazione, a prescindere dal fattore etnico. Ad assicurarle la vittoria avevano contribuito decine di migliaia di donne che, presentandosi all’uscio di ogni capanna anche in villaggi remoti e isolati, altrimenti inaccessibili a causa delle pessime condizioni della rete stradale e ferroviaria e della mancanza di mezzi di comunicazione, ne avevano illustrato meriti e programma. Da allora è stata soprannominata «lady di ferro» per la fermezza con cui ha svolto il proprio mandato. All’indomani del giuramento da presidente aveva spiegato di essere disposta a formare un esecutivo inclusivo, accettando esponenti dei partiti sconfitti purché dotati di tre requisiti fondamentali: competenza, onestà, rispetto dei diritti umani. Se qualcuno aveva pensato che fossero solo parole, si era dovuto ricredere alcune settimane dopo quando Johnson Sirleaf si era fatta portare al ministero delle finanze dove aveva licenziato in tronco tutto il personale con facoltà degli ex dipendenti di riproporsi per l’assunzione anche il giorno successivo stesso, purché con un curriculum adeguato per competenze e titoli e immacolato, vale a dire senza traccia di episodi anche minimi di corruzione e clientelismo. Non era che l’inizio di una serie di indagini sullo stato e la conduzione di tutte le agenzie governative e le compagnie pubbliche.

Leymah Roberta Gbowee, madre di sei figli, anche lei cittadina liberiana, ha contribuito nel 2005 al successo elettorale di Ellen Johnson Sirleaf così come prima aveva ha contribuito alla fine della guerra civile guidando il Women of Liberia Mass Action for Peace, un movimento nato raccogliendo in preghiera, per la pace, donne cristiane e islamiche in un mercato del pesce della capitale liberiana, Monrovia. Vestite di magliette bianche durante le loro manifestazioni, le donne del movimento, rapidamente cresciuto fino a contare migliaia di componenti, sono diventate in breve una influente forza politica capace di ottenere che si avviassero i primi colloqui di pace, dopo anni di conflitto civile. In un loro appello all’allora presidente liberiano Charles Taylor si legge: noi donne «siamo sempre state in silenzio in passato, ma adesso, dopo essere state uccise, violentate, disumanizzate e infettate da malattie, assistendo alla distruzione dei nostri figli e delle nostre famiglie, la guerra ci ha insegnato che il futuro dipende dal dire ‘no’ alla violenza e ‘si’ alla pace. Non ci fermeremo finché la pace non trionferà».

La terza donna insignita del Nobel per la Pace è Tawakkul Karman, yemenita, tre figli, presidente del movimento Women Journalists Without Chains da lei fondato nel 2005 per promuovere i diritti umani e in particolare la libertà di opinione e di espressione. Ha organizzato manifestazioni di protesta ogni martedì, a partire dal 2007, ed tra i leader della rivolta tuttora in atto, duramente repressa, contro il regime del presidente Ali Abdullah Saleh. Sull’esempio delle proteste in Tunisia ed Egitto, ha organizzato il «giorno della collera» del 3 febbraio scorso. Molto ha fatto per mobilitare gli studenti della capitale Sanah. Tawakkul Karman combatte contro gli abusi e la corruzione del proprio governo, ma mostra altrettanta determinazione a difendere il proprio paese dalla minaccia della violenza integralista: «l’azione politica non violenta dei giovani è la sola arma contro il terrorismo. Noi rifiutiamo i movimenti estremisti, i gruppi come al Qaeda perché non hanno altro obiettivo che il sangue. Se la nostra rivoluzione avrà successo, tutto il mondo allora sarà più sicuro».

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